Lo Staff dell’Associazione
Presidente: Fanny Gasperoni
Vicepresidente: Giada Selva
Segretaria: Silvia Merli
Tesoriere: Emanuel Fabbri
Samanta Laporte
Wilson Renzi
Claudia Righetti
L’Associazione si è costituita il 12 settembre 2014 e iscritta nel Registro delle Associazioni il 13 ottobre 2014.
BattiCinque è apartitica, senza scopo di lucro e persegue esclusivamente obiettivi di solidarietà sociale, quali il miglioramento della qualità della vita di persone autistiche o con disturbi del neurosviluppo attraverso azioni di supporto rivolte a esse e alle loro famiglie, nonché ai tutori, educatori e insegnanti.
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L’Associazione si propone di:
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Promuovere la formazione delle persone interessate
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Promuovere strategie di intervento ritenute efficaci dalla comunità scientifica internazionale
Scopri tutti gli scopi dell'associazione...
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Stabilire rapporti di elaborazione e federazione con associazioni italiane e straniere delle quali si condividono pienamente gli obiettivi
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Stabilire rapporti di collaborazione, collegamento, convenzione e accreditamento con Enti Pubblici e privati al fine di promuovere attività educative, socio-sanitarie, riabilitative, sportive, di inserimento lavorativo, di servizi domiciliari, di aiuto alla famiglia.
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Promuovere la piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa dei soggetti autistici.
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Tutelare i loro diritti civili, con particolare riferimento all’iscrizione e alla frequenza delle istruzioni scolastiche e alla realizzazione dei loro progetti di vita individuali.
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Creare un collegamento fra le famiglie, fornendo aiuto e promuovendo a tal fine corsi, incontri, conferenze, dibattiti e ogni altra iniziativa atta a tale scopo.
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Promuovere la diffusione dell’informazione a livello di opinione pubblica attraverso campagne di sensibilizzazione sui disturbi dello spettro autistico a ogni livello della società
La Nostra Storia
“Noi siamo BattiCinque”
Dialogo sulla storia di un’Associazione.
Alla base dell’inclusione sociale vi è una rete che nel corso degli anni si è estesa grazie a sevizi sociali, scuola, volontari e noi ne siamo stati i primi nodi.
Come in tutte le storie vi è un inizio rappresentato dalla diagnosi.
Samanta: “ci hanno detto senza raccontarci bene, non sapevamo nemmeno cosa volesse dire. Non ne conoscevo neanche uno, mai visto uno in vita mia”.
A quanto pare l’autismo non era conosciuto nemmeno a San Marino, “Uno stato che non sapeva minimamente cosa fosse una programmazione di terapia lungimirante, che potesse aiutare questi disturbi” >ricorda Wilson che però era stato più fortunato, ne aveva infatti già visti di autistici: “Erano anni che andavamo al mare a Rimini e lì, neanche a farlo apposta, ogni giovedì pomeriggio arrivava un gruppo di ragazzi autistici (di Rimini Autismo) ai quali miei amici del bagno, come volontari, facevano praticare un po’ di beach tennis”.
Dopo anni di anni di confronti con le istituzioni sammarinesi Wilson decise di rivolgersi al direttore del Servizio Minori (allora Riccardo Venturini) per proporgli “di farmi incontrare con altre famiglie che avessero la stessa problematica”.
Samanta: “Ho Trovato bella questa idea di avvicinarmi ad altre famiglie e scambiarsi numeri, Perché all’epoca non c’era l’informazione che c’è adesso, nessuno diceva nulla”.
Wilson: “Venturini ha spinto un po’ ad organizzarci a livello associativo per avere una voce più forte e visibile e una migliore organizzazione a livello sociale”.
Al gruppo in divenire si uniscono Fanny e Chiara che sentì “da subito una grande energia, mi sono sentita più forte e non più sola, finalmente potevamo parlare di autismo alla luce del sole e portare avanti insieme le nostre battaglie che fino a quel momento avevo combattuto da sola”, in quanto “parlavamo lo stesso linguaggio ed avevamo tutti le stesse difficoltà”.
Wilson aggiunge che “parlando tra di noi il problema principale per tutti era lo smarrimento e mancanza totale di linee guida a San Marino”. Da questo sentire comune si è iniziato a pensare di dar forma a un’associazione. Samanta confessa come non mancasse la paura perché “c’è molto lavoro dietro anche a livello contabile e noi non ne sapevamo nulla” e qui emerse il ruolo di sua cognata Carolina: “Samanta torna e mi racconta che si era parlato di fare un’associazione ma che nessuno se la sentiva per tutta la parte burocratica e che loro, essendo genitori, non se la sentivano. Al che ho detto: io so fare la parte burocratica, è il mio lavoro”.
La sua offerta fu determinante nel dissipare i dubbi di Fanny: “nonostante fossi contenta di avere conosciuto queste famiglie perché mi sembravano determinate a non fermarsi a lamentarsi della loro situazione ma a costruire quello che effettivamente mancava, e cioè un giusto progetto terapeutico nei confronti dei nostri figli sia che si parlasse di autismo che di disabilità in generale, ero molto, molto titubante per via della nuova legge sull’associazionismo davvero penalizzante. Fu la disponibilità di Carolina a darci una mano dal punto amministrativo, che per me era l’ostacolo più grosso, a convincermi che un’associazione potesse aiutarci a ottenere maggior risultati poiché i genitori si univano”.
Samanta: “Questo ha cambiato tutto perché c’era chi si prendeva carico di queste cose e abbiamo deciso di provare e vedere come andava. La Fanny ha delle grandi abilità comunicative ed è diventata la faccia di BattiCinque”.
Fanny: “Non credo di essermi proposta ma non mi ricordo come e perché mi sono ritrovata e essere presidente, forse perché ero la più vecchia…”
Il nome BattiCinque, racconta Carolina, “è idea di Wilson perché si cercava qualcosa che potesse accomunare tutti i bambini, allora si era parlato del fatto che non erano verbali ma c’era una cosa che riuscivano a fare tutti, salutare dando il 5. Quindi BattiCinque”, precisa Wilson, “una canzoncina che in quel periodo Filippo ascoltava in maniera “logorroica”. Il logo lo disegnai sempre di notte e fu una cosa lunga e complicata, però vederlo finito e colorato ripagò il tutto.”
Fanny: “La nostra avventura cominciò nel migliore dei modi: alla presentazione, a cui invitammo anche le istituzioni, parteciparono più di 250 persone. L’affetto di amici e persone i cui figli andavano a scuola con i nostri fu evidente fin da subito”.
Per Samanta organizzarsi ha significato prendere una strada: “Per me c’è un prima e un dopo questa associazione”. All’epoca della diagnosi “non c’era nessuno che ti dicesse le cose, che ti desse un po’ di informazioni”.
Assenza di informazioni, o quando si trovano sono fuorvianti, ricorda Carolina, “tutti avevamo questa idea, questa prima idea di cos’è l’autismo come Rain Man”, o sbagliate: “Le prime informazioni che trovi su internet cercando l’autismo sono quelle relative ai vaccini. Quindi il primo incontro che hai quando fai la tua prima ricerca sull’autismo è questo. È stato difficile non cedere all’idea che fosse effettivamente così perché sei portato a cercare una causa, vuoi trovare un colpevole, come per ogni cosa.
Immagino anche le famiglie che trovano una risposta così semplice come il vaccino… È difficile, poi, quando approfondisci con le varie informazioni e cominci a leggere di più, accettare che questa idea sia falsa, anche perché la trovi in dei siti che sembrano autorevolissimi. Questo secondo me sarebbe un punto da curare bene perché ancora oggi è una cosa che per vari genitori, per molte persone quando si parla di autismo, rimane lì”.
Samanta ammette di aver “commesso tanti sbagli, ma perché non sapevo! All’inizio mi sono trovata nell’asilo nido di Teo, che gli è stato prescritto. Lui non era rientrato in quelli che potevano frequentare il nido, ma dopo la diagnosi lui è subito entrato. E l’educatrice non mi ha permesso, lei non mi ha permesso di chiedere il sostegno per Teo. E io in quel momento non sapevo che avevo il potere di farlo, di andare in direzione a chiedere. L’ho ascoltata e ho accettato. Adesso si fanno dei corsi, si sente parlare di autismo, ma in quell’epoca nemmeno gli psicologi sapevano”.
Carolina: “Teo aveva cominciato a fare logopedia e loro dicevano che il suo ritardo del linguaggio era perché noi parlavamo spagnolo a casa e lui invece doveva parlare italiano quindi secondo loro poteva essere confuso”.
Samanta: “Da quando c’è BattiCinque, tutte le famiglie che sono venute dopo, non ti dico che hanno avuto la strada più facile, ma hanno un po’ più di risposte, almeno sai chi chiamare”. Ripensa a “quel giorno lì” (il giorno della diagnosi): “Io ci sono già passata e non voglio sapere che qualcuno sente quella solitudine di merda che ho sentito io. Non lo posso permettere, mi fa male sentirlo e immaginarlo. Quel giorno tornando a casa abbiamo rischiato di schiantarci, perché Pablo guidava e aveva una nuvola davanti agli occhi. Io l’ho capito, l’ho visto. Piangevamo, eravamo due zombi, tornavamo a casa e abbiamo detto: dobbiamo fermarci. Ci siamo fermati a far passare un po’ di tempo in un parco, a parlare. Quella cosa lì mi è sembrata proprio brutta. Bisogna trovare qualcuno che se alzi un telefono trovi qualcuno che dice <guarda sembra una merda ma non lo è>, oppure <sì, lo è ma si può fare qualcosa, si può prendere questa strada o quest’altra. Ci sono queste opzioni. Non sono alieni>. Queste cose sembrano stupide ma sono importanti in quel momento lì”. Per esempio “nessuno diceva che potevi prendere una pensione”. Dunque, “siamo utili, con l’associazione puoi dare consigli giusti perché ci sei già passata. Abbiamo faticato un sacco per fare questi piccoli cambiamenti, abbiamo fatto un sacco di cose, piccole ma un sacco”.
La spiegazione per Fanny risiede nel fatto che BattiCinque non è nata per essere “un’associazione di genitori che si lamentano, ma per costruire progetti che partendo dalle esigenze e dalle problematiche delle famiglie possano possibilmente includere non solo i nostri figli ma essere funzionali per tutta la cittadinanza”. Un successo, ricorda Chiara “condito da tante divergenze, anche da scontri ma oggi siamo ancora qui” e, conclude Samanta, “bisogna andare avanti … non è per te ma per tuo figlio, e allora devi FARE”.
(Daniele Baldisserri)